Tempo da cani. Pioveva a secchiate. Fortunatamente ero in autobus, seduto in fondo, come sempre. Il mezzo pubblico si fece largo a spallate nel traffico per poi accostare a destra, presso la fermata.
Salì una signora anziana, probabilmente con più di quattro quinti secolo sulle spalle.
Era molto minuta e il suo abbigliamento rispecchiava lo stereotipo della nonna proprio dei fumetti: gonna pesante lunga, di tessuto così fine che avrebbe potuto essere di caprone; maglioncino caffè-latte lungo, quasi a diventare un tutt'uno con la gonna, foulard a cingere il capo, per proteggerla dal freddo pungente di quella giornata fetente. Non sembrava malata di qualcosa, tipo di quei morbi bastardi che ti devastano gli ultimi tempi dell'esistenza. La lentezza dei movimenti e la delicatezza con cui la sua mano accoglieva la ringhiera per reggersi in piedi non mi fecero balenare in testa il concetto di “Pieno vigore fisico”. A piccoli passi, si mosse lungo il corridoietto del bus fino a sedersi di fronte a me. Mi radunai un po', cercando di apparire meno stravaccato.
Tornai a guardare fuori dal finestrino, a vedere quello che stava succedendo all'esterno di questo umido scatolone su quattro ruote.
Di tanto in tanto, la coda del mio sguardo impertinente andava a stuzzicare la mia vetusta compagna di viaggio. Il tempo era inevitabilmente passato sul suo viso con dei mezzi militari cingolati. Ma le aveva lasciato intatti gli occhi. Dannatamente azzurri, di un'altra epoca; occhi che racchiudevano quella forza che il corpo non le permetteva di esprimere. Occhi che mi riportavano a stagioni passate, che io, in qualità di sbarbatello ventenne, ho sempre e solo sentito raccontare. Dai miei nonni, dalla campagna tra i frutteti , dalle stradine del centro, dalle caldarroste del parco. Stava osservando il paesaggio di semafori e luci anabbaglianti. Io continuai a contemplare i suoi occhi, con quello spirito di riverenza e rispetto con cui ci si dovrebbe accostare a un quadro, badando bene a non violarne la sacralità e a comprenderne il messaggio.
Io sono ancora qui
Nonostante tutto
Nonostante tutti
Nonostante il meglio sia già passato
Io sono qui
finché mi rimane
un cucchiaino di energia
un tortellino di forza
un cicchetto di voglia
Io sono qui
fino a quando
le danze si chiuderanno
e tutti i convenuti applaudiranno
entusiasti e sorridenti
la banda di musicanti
Io sarò qui
Dentro di lei, finii di sfogliare quel libro rivestito da una sottilissima pellicola di malinconia, poi lo richiusi delicatamente.
Tornai, ancora una volta, a pensare ai zozzi affaracci miei: non mancava tanto alla mia fermata e più tardi avrei avuto allenamento di calcetto. Dopo qualche istante, la signora si alzò dal suo posto, senza preavviso, e si diresse verso l'uscita. Sembrava indispettita, irritata.
Come se qualcuno avesse messo in disordine gli scaffali della sua libreria.