mercoledì, ottobre 17, 2007

Autobus Vol 2

{ATTENZIONE! Se credi che i Finley siano la rinascita della musica italiana, che i Tokyo Hotel facciano del rock pesissimo e che la dicitura MCR significhi My Chemical Romance, e non Modena City Ramblers, allora smamma, pivello! Questo post è troppo serio e socialmente impegnato per un bimbo di 12 anni come te. Se la cosa non ti va giù, puoi andare direttamente a piangere dalla tua mamma!}

Tempo da cani. Pioveva a secchiate. Fortunatamente ero in autobus, seduto in fondo, come sempre. Il mezzo pubblico si fece largo a spallate nel traffico per poi accostare a destra, presso la fermata.
Salì una signora anziana, probabilmente con più di quattro quinti secolo sulle spalle.
Era molto minuta e il suo abbigliamento rispecchiava lo stereotipo della nonna proprio dei fumetti: gonna pesante lunga, di tessuto così fine che avrebbe potuto essere di caprone; maglioncino caffè-latte lungo, quasi a diventare un tutt'uno con la gonna, foulard a cingere il capo, per proteggerla dal freddo pungente di quella giornata fetente.
Non sembrava malata di qualcosa, tipo di quei morbi bastardi che ti devastano gli ultimi tempi dell'esistenza. La lentezza dei movimenti e la delicatezza con cui la sua mano accoglieva la ringhiera per reggersi in piedi non mi fecero balenare in testa il concetto di “Pieno vigore fisico”. A piccoli passi, si mosse lungo il corridoietto del bus fino a sedersi di fronte a me. Mi radunai un po', cercando di apparire meno stravaccato.
Tornai a guardare fuori dal finestrino, a vedere quello che stava succedendo all'esterno di questo umido scatolone su quattro ruote.

Di tanto in tanto, la coda del mio sguardo impertinente andava a stuzzicare la mia vetusta compagna di viaggio.
Il tempo era inevitabilmente passato sul suo viso con dei mezzi militari cingolati. Ma le aveva lasciato intatti gli occhi. Dannatamente azzurri, di un'altra epoca; occhi che racchiudevano quella forza che il corpo non le permetteva di esprimere. Occhi che mi riportavano a stagioni passate, che io, in qualità di sbarbatello ventenne, ho sempre e solo sentito raccontare. Dai miei nonni, dalla campagna tra i frutteti , dalle stradine del centro, dalle caldarroste del parco. Stava osservando il paesaggio di semafori e luci anabbaglianti. Io continuai a contemplare i suoi occhi, con quello spirito di riverenza e rispetto con cui ci si dovrebbe accostare a un quadro, badando bene a non violarne la sacralità e a comprenderne il messaggio.

Io sono ancora qui
Nonostante tutto
Nonostante tutti
Nonostante il meglio sia già passato
Io sono qui
finché mi rimane
un cucchiaino di energia
un tortellino di forza
un cicchetto di voglia
Io sono qui
fino a quando
le danze si chiuderanno
e tutti i convenuti applaudiranno
entusiasti e sorridenti
la banda di musicanti
Io sarò qui

Dentro di lei, finii di sfogliare quel libro rivestito da una sottilissima pellicola di malinconia, poi lo richiusi delicatamente.
Tornai, ancora una volta, a pensare ai zozzi affaracci miei: non mancava tanto alla mia fermata e più tardi avrei avuto allenamento di calcetto.
Dopo qualche istante, la signora si alzò dal suo posto, senza preavviso, e si diresse verso l'uscita. Sembrava indispettita, irritata.
Come se qualcuno avesse messo in disordine gli scaffali della sua libreria.

lunedì, ottobre 08, 2007

Autobus Vol 1

{ATTENZIONE! Se sei una persona sensibile, benpensante e ciellina non leggere questo post! In questo raccontino del piffero mi sono divertito da matti a fare lo sporcaccione e lo zozzone quindi potresti non gradire quello che vado ad esporrre. Altrimenti continua pure a tuo rischio e pericolo. Io ti ho avvisato. Poi non andare a piangere dalla mamma.}

Non ero seduto in fondo al bus come solito. Ero mediamente avanti. [Si può scrivere “mediamente avanti”? Non lo so, lo scrivo lo stesso.]
Beh, sta
di fatto che mi stavo tranquillamente appisolando sul seggiolino quando, a una fermata, salì una donna graziosa.
Era chiaramente dell'est, sulla trentina abbondante ed era alta un soldo di cacio.
Bionda liscia fino alle spalle, abbastanza carina di viso.
Un petto aggressivo, sull'attenti, e un paio di jeans che insaccavano un culetto bello tondo, tutto da mordere. Per non parlare poi degli stivali di cuoio.
Mani in alto, gente!
Vagabondò un po' per il bus, poi presela saggia decisione di sedersi di fronte a me.
Trasportava due borsette e una busta da profumeria: un po' troppo per le sue manine piccole.
Comunque doveva passarsela bene visto l'orologiazzo che le fregiava il polso.
Si tolse la giacchetta discotecara, sicuramente di marca. In quel momento, però, non ci feci molto caso perché la mia compagna di viaggio rivelò una maglia color crema pasticcera decisamente aderente. Non capii cosa stesse accadendo perché i suoi seni diventarono dei veri pezzi di artiglieria pesante.
Solitamente, un bagaglio eccessivamente vistoso può risultare grottesco e pacchiano per chi lo porta. Invece, per questa signorina (signorina, niente fede all'anulare) tutto calzava alla perfezione.
Ero visibilmente frastornato.
Non è mai un bene essere aggrediti così a bruciapelo, alla mattina presto.
Provai a ribattere a questa poderosa offensiva con un sorrisetto di circostanza.
Niente da fare.
Il sangue stava migrando dal cervello grande al cervello piccolo.
Fortunatamente avevo la borsa sulle ginocchia.

La difesa si salva in rimessa laterale” commentò il telecronista immaginario della mia testa vuota.
Lei tirò fuori il cellulare da una delle sue cinquantasette borse. Sembrava piuttosto nuovo.
Cominciai a pensare che avesse meno di trent'anni.

Vuole sedersi?” Chiese a una signora anziana che stoicamente resisteva alla guida turbolenta dell'autista.
Purtroppo, non aveva una bella voce: sebbene non fosse gracchiante, era un timbro da lana di vetro, ferramenta e mani masticate da chiavi inglesi e pinze.

Così perdi punti, dolcezza” pensai tra me e me, con sguardo da volpone.
Insomma, non mi diceva nulla come donna, però mi suscitava delle buone sensazioni a livello pubico.
Si rimise la giacca e la sua milizia tornò in posizione di riposo.
Scese nei pressi del policlinico.
Con lei quella stupenda ragazza di colore salì sul bus con me, alla mia stessa fermata.
Davvero una bellezza superba, un metro e ottanta, ricoperta di jeans: l'avrei vista bene in sella a una motocicletta, se non fosse stato per il paio di ballerine ai piedi.
Di solito, le donne di colore hanno un viso potente, tutta sostanza, con pochi fronzoli.
Invece, lei era adorabile, fine, fanciullesco. Lo sguardo era grazioso, ma allo stesso tempo fiero e determinato, da vera e inimitabile valchiria d'ebano. In tenuta da principessa guerriera non avrebbe affatto sfigurato.
Purtroppo non si sedette nelle mie vicinanze.
Così, non ebbi la possibilità di effettuare un'indagine approfondita con il mio occhio clinico.
Come per la signorina dell'est.