venerdì, agosto 24, 2007

Job's Bar 6 (part 3)

- E cosa avresti fatto tu, scusa? - Chiese Lester asciugando un boccale con un burazzo, aggrottando così tanto la fronte da fare sembrare il suo viso una maschera grottesca teatrale.
Anche a questo giro, ero sempre piazzato sul mio inseparabile trono, lo sgabello in cellophane di elefante.
- Te l'ho detto, gli ho tirato un cazzotto dritto sul mento. E gliel'ho tirato anche bene!- Con orgoglio mostrai parte della mia dentatura lievemente ingiallita, come sorrisetto.
- Io ti conosco da un po'. Fino a ieri non ti avrei neanche visto dare un calcio a un cappone. Ora ti trasformi in un giustiziere. Ciò vuol dire solo una cosa...- Sentenziò l'esperto barista.
- Sentiamo, oh bocca della verità - Ero pronto ad accogliere l'ovvietà del padrone del Job's Bar. Nel frattempo giocherellavo con un salatino a forma di sassofono.
- È chiaro che tu sia perso totalmente di questa qui... Come hai detto che si chiama?- Il suo sopracciglio si alzò così tanto che gli arrivò dietro la nuca.
- Alina, te l'ho già detto trecentoventisette volte.- la mia risposta non poteva che essere rassegnata.
Pino, pensionato pluri-ottuagenario, si destò dal suo torpore dettato da ingenti dosi di quotidiani sportivi e Cynar (più Cynar che altro), si alzò in piedi dal suo tavolo ad angolo, sotto la foto di Eddy Merckx. Si alzò e con il bastone improvvisò qualche passo di danza.
- Oh Alina, d'oriente la più carina!- esclamò l'improbabile ballerino.
- Carina non c'è dubbio. Speriamo almeno che non sganci i tuoi stessi peti- gli dissi, allungandogli una pacca sulla spalla.
- Spera bene giovanotto. Altrimenti moriresti tra atroci sofferenze- detto ciò, tornò a sedersi, non dopo una bronza del sesto grado della Scala Richter (crollo di case, panico generale). Noi del bar ci eravamo abituati, quindi non ci scomponemmo più del necessario.
E così anche stavolta tornavo a casa a piedi, stordito, con lo sguardo spento, sempre sul solito marciapiede.
Chissà dov'è ora, chissà cosa starà facendo, mi starà pensando?
Cristo! Che ragionamenti da bimba dodicenne ascoltatrice di quelle boyband che tanto ti fanno battere il cuoricino.
Risi fragorosamente di me stesso.
Un'anziana signora mi guardò storto e sembrò puntarmi con il suo infimo chihuaha.
Un ammasso minuscolo di pelle e ossa che cominciò ad abbaiarmi contro con una certa grinta.
- Cosa vuoi da me? Lo sai benissimo che non ti toccherei neanche con un fiore!- Gli dissi amorevolmente piegandomi verso di lui.
- Screanzato!- Fece indignata la signora tirando verso di sé il suo pupillo.
A passi brevi e ben calibrati mi riavviai verso casa.
E vuoi che non ci sia ancora una volta lei davanti alla porta di ingresso?
Da sola però. Molto meglio.
Una scarica di adrenalina al cervello mi prese a schiaffi e svegliò anche qualcun altro nei miei pantaloni da mercato cinogiappokoreano. Fortunatamente la mia lucidità tornò ad essere a livelli accettabili pubblicamente.
- Buonasera Alina!- la salutai con un espressione da vero micione. Come di quei gatti neri, straordinariamente grossi e polposi, che sanno solo giocare con dei gomitoli di lana rossi.
- Complimenti per il tempismo. Avrei giusto bisogno di qualcuno con le braccia forti.- disse con quell'aria sbarazzina che non può far altro che mandarmi in brodo di giuggiole.
- Perché? Non vedo nessuno da prendere a pugni.- Risposi guardandomi in giro, cercando qualche altro cafone da malmenare.
- No. Guarda per terra.- Mi indicò sul marciapiede delle borse della spesa, clamorosamente piene.
Non avevano un bell'aspetto. Tra me e quelle buste ci fu uno scambio di sguardi che non prometteva nulla di buono.
- E come sono arrivate fin qua?- interrogai la teste.
- Con la macchina, no?- Mi indicò una macchina terribilmente vecchia che aveva più anni di lei: una Yugo Vastava. Non potei che rimanere affascinato da un simile reperto archeologico.
- Ehi! Non hai mai visto un fossile del Pleistocene?- ridacchiò delicatamente con quella boccuccia deliziosamente deliziosa... Sì, ero proprio partito, non capivo più niente.
- Spiritosa e anche con minimo di base culturale! Bene Alina, da brava ragazza educata, come si dice?- Mi avvicinai a lei e mi feci imponenete grazie ai miei centimetri.
Lei si allungò sulle punte dei piedi, si aggrappò ancora una volta al bavero del mio impermeabile, fece degli occhioni dolci da annegarcisi dentro, morire, rinascere e ripetere all'infinito, sollevò la gamba destra all'indietro, come per prendere slancio e saltare.
Molto timidamente, con i palmi delle mani le sfiorai i fianchi, solo per evitare che perdesse l'equilibrio. Mi sentivo, per come dire, strano. Non che fossi imbarazzato, anzi, solamente mi sembrava tutto così particolare, inusuale, che ero innaturale, bloccato.
- Per piacere me le porteresti su in casa?- “Implorò” lei.
- Non mi va mica bene che tu prenda così tanta confidenza. Per niente- In verità ero semplicemente in estasi.
Senza perdere altro tempo in facezie, mi chinai e le mie mani tozze afferrarono senza pietà le buste di plastica a gruppi di tre.
Stavo morendo dalla fatica. Non avrei mai creduto che in così poco spazio potesse stare così tanta roba.
- Io non ci riesco a portarle su in casa. Ma vedo che per te non sono un problema.- Osservò Alina.
- No, no. Non ti preoccupare.- Risposi spavaldo, con il cuore ormai prossimo all'esplosione.
Fu un'originale rivisitazione della Via Crucis.
Uno sciagurato vessato da codeste maligne sportine, schernito anche dai marmocchi del terzo piano, portava, con le sue esauste braccia, enormi pesi fino alla tanto anelata redenzione finale.
Credevo che nel mio condominio ci fossero meno rampe di scale.
Dovetti sudarmi ogni singolo gradino sino al portone del suo appartemento.
Gliele posai davanti all'entrata.
- Grazie mille! Non ti scomodare a portarle dentro. Qui ci penso io.- squittì la mia dolce Alina.
Mi diede un bacetto sulla guancia, come quando si hanno quattro anni e si ha la prima fidanzatina alla scuola materna.
Ero proprio tornato bambino.
- Ciao e grazie ancora.- Iniziò a portare dentro le borse. Una busta per volta.
- Beh, sei hai bisogno di qualcos'altro fammi un fischio.- Ormai sulla fronte avevo scritto “Benvenuti”.
Mi accomiatai e me ne tornai nella mia spelonca, barcollando un po' per la fatica, un po' per la sbornia dovuta al suo profumo francese di marca.


E@

lunedì, agosto 20, 2007

Job's Bar 6 (part 2)

Quando sei su di giri per una donna sei inevitabilmente molto più rincoglionito.
È ovvio; le cose ti sembrano diverse dal solito, spesso migliori.
Persino quella birra di bassa lega presa dal market pakindianafghano ti sembra più gustosa.
Anche quel barbone, che solitamente rimette sulla panchina del parco, sembra sorriderti al tuo passaggio.
Guardi per terra, alla ricerca di qualche centesimo, trovi ben mezza cucuzza. Una fortuna!
Ti accorgi anche di come i germogli che emergono dal duro asfalto siano molto più verdi della norma.
Per non parlare poi di quando ai cancelli dei magazzini di anime inscatolate, i palazzoni dormitori, trovi fiori alti mezzo metro e passa, rossi, pulsanti di vita, che se ne fregano di essere su un zozzo marciapiede mentre ce ne sono altri che se le spassano in una confortevole serra di prima categoria, con procaci donzelle pronte a innaffiarli al minimo accenno di sete.
Se n'erano accorti anche quelli del Job's Bar che camminavo a un metro da terra.
Lester, dal suo banco, mi scrutava con fare clinico.
- Se non ti conoscessi, direi che tu sia caduto dal seggiolone. Ma il tuo sguardo ebete parla da sé – disse riponendo l'amaro nel ripiano.
Con la mano stavo facendo danzare un bicchiere di Braulio, ovviamente ero sempre seduto sul mio sgabello foderato di pitecantropo.
- Beh, è la mia vicina di casa. Sinceramente non saprei proprio descrivertela. È graziosa. È fresca, elegante. L'ho sentita parlare al telefono. Non sono riuscito a capire nulla del discorso, ma la sua voce non era di quelle gallinacee, pigolanti e fastidiose, e neanche da cornacchia come una grattata del cambio della macchina. Era flautata, ammaliante... - risposi, fantasticando sul come sarebbe stata nuda nel mio letto.
- Siccome non posso dirti di bere di meno, visto che sei tra le mie principali fonti di reddito, posso solo dirti di fumare di meno. Sempre che tu faccia uso di droghe. No? - chiese Lester, alzando il suo sopracciglio sinistro, cisposo più che mai.
- No, vecchio. Lo sai che sei l'unico in assoluto. - Ammiccai con una bozza di sorrisetto beffardo.
Quel giorno scelsi di tornare a casa a piedi più presto del solito.
Le nuvole non promettevano nulla di buono ed io ero senza ombrello.
Mancavano poche decine di metri dal cancello di casa quando la vidi.
Era esattamente di fronte al cancello di ingresso.
Non era sola.
Inizialmente mi prese la tristezza.
D'altronde non poteva essere altrimenti. Una così è difficile che sia a piede libero.
Poco male.
Anche se l'amaro in bocca restava sempre e comunque.
Con lei, un baldo, ben oltre la mezza età, munito di abbronzatura ben oltre i parametri permessi dalla legge, occhiali da sole in materiale extraterrestre e quattroruote fuoriserie, forse un prototipo giapponese.
Stavano discutendo animatamente.
Lui le urlò qualcosa e le diede una sberla tale da farla cadere a terra.
Questa no.
Non esiste.
Non posso fare passare liscia una cosa del genere.
Ecco a voi “Super Beer”, il super-eroe direttamente dal Job's Bar. Forgiato dai migliori malti e luppoli della baviera, dalle migliori grappe anglosassoni e dalle più pregiate vodke degli Urali.
Gonfiai il petto e non ci pensai due volte a intervenire.
Il mio pugno destro si chiuse, divenne duro come il diamante e le nocche si infransero rovinosamente contro il mento di questo riccastro da strapazzo.
Accusò il colpo.
_ Stronzo, fatti i cazzi tuoi! _ Fece quello tornando verso la portiera del guidatore.
_ Fottiti _ risposi con cavalleria.
_ Sta attento, brutto piglianculo, che la pagherai!_ minacciò quello puntandomi contro l'indice.
_ Torna pure, ti aspetto con una bottiglia di Dom Perignon._ sorrisi allargando le braccia come a volere accoglierlo nuovamente.
Il giovane miliardario di quarantacinque anni se ne andò sgommando con il suo macchinone e mi seppellì con il suo smog da novantanove ottani.
Feci un paio di colpi di tosse. Un incrocio pittoresco tra un gattino bagnato e un settantacinquenne catarroso affetto da polmonite.
Con lo sguardo seguii l'auto rombante scomparire dietro l'angolo poi mi girai verso di lei.
Si avvicinò e mi prese per il risvolto del mio impermeabile liso.
- Grazie! - esclamò raggiante - Era ora che qualcuno gli facesse vedere i sorci verdi a quel figlio di buona donna. -

- Figlio di buona donna? Io non sarei così generoso con lui. - risposi ammirando le sue forme racchiuse in un vestito firmato, eccessivamente sobrio per il suo corpo.
- È davvero difficile trovare qualcuno disposto a rischiare dei lividi per una che neanche si conosce. Tu che dici? - chiese uccidendomi con quegli occhi da cerbiatta.
Ero in paradiso.
Nonostante ciò, il mio aspetto esteriore di reduce da bar lasciò trasparire poco o nulla.
- Beh, sono un personaggio un po' particolare, che ci vuoi fare. - risposi con atteggiamento da Humphrey Bogart dei poveri.
Mi mancava solo il sigaro e il cappello. Per il resto sarei stato perfetto. Vabbé, mi mancava anche la barba fresca di rasatura.
- Direi di averti già visto. Per caso anche tu abiti in questo condominio? - Chiese, quasi saltellando, come una bambina a cui si dava il regalo di compleanno.
- Sì, interno 21, dolcezza. - risposi con voce calda. Calda, come un minestrone di verdure.
- Ehi, sei molto vicino al mio. Io sono al 23. E poi non chiamarmi dolcezza. Lo detesto. Se mai, Alina. - Mi porse la mano per stringere la mia, la stessa che aveva respinto quel maiale di prima.
La presi delicatamente, assaporai con gli occhi quella mano pulita e profumata, mi chinai e gliela baciai, facendo finta di sfiorarla appena con le labbra.
- Madamigella Alina, al suo servizio! - Un cavaliere mediavale, fatto di vestiti vecchi, polverosi, con un lieve puzzo di bere come suo fido scudiero, si mise così agli ordini della sua dama.
Lei rise, ma non fragorosamente. Non disturbò il vicinato con del chiasso inutile. Era una risata più unica che rara, inimatibile anche dal migliore falsario di dipinti d'autore.
Mi presentai. Fornii le mie scarse credenziali.
- Grazie, di tutto. Ora vado su. Ci vediamo presto, va bene? -
- Va bene dolcezza, ehm... Katrijna! Ci becchiamo - La salutai così e contemplai i suoi polpacci sinuosi e guizzanti mentre saliva le scale dell'ingresso del mio palazzotto e il suo vestito svolazzare e accarezzare le sue cosce.
Pochi istanti che durarono un'eternità.
Non so se fu per smaltire la sbornia o per fare un pattugliamento degno di un soldato che feci il giro dell'isolato prima di tornare su in casa.
Sta di fatto che, quando misi piede sulla soglia dell'ingresso, una scintilla mi fece sentire molto più rincoglionito.


E@