mercoledì, novembre 22, 2006

Job's Bar 4 (seconda e ultima parte)

Fece schioccare la lingua, e riprese: - Nella vita non bisogna mai guardare in faccia a nessuno. Non ho guardato negli occhi neanche mia moglie mentre moriva per il troppo botulino, sa la chirurgia estetica, il lifting e quelle menate lì. Figuriamoci se devo degnare di considerazione quell’indo-afghano-cino-cingalese che ogni mattina mi porta il giornale, sperando sempre che gli dia qualche nocciolina. Ma mi faccia il piacere, suvvia. – Concluse con un espressione luciferina.

Terminata la filippica, lasciò un biglietto da dieci sul bancone.
Con una serenità incredibile , per quanto aveva appena detto, in totale silenzio, ripiegò con cura il suo giornale e uscì dal bar, senza prendere il resto.
Rimasi esterrefatto. Aveva vomitato delle nefandezze che non stavano né in cielo e né in terra, e, allo stesso tempo, vendeva, come tranquillità, quell’odio latente che trasudava da tutti i pori.
Inevitabile fu lo sconforto che mi travolse, come un autotreno olandese.
Mancinelli si alzò dal suo tavolino d’angolo corredato di lettura sportiva e, con fare bonario, mi diede una pacca sulla spalla:
- Non temere. Alla fine, l’amore vincerà all’ultimo minuto di recupero con un’azione viziata da una posizione di fuorigioco non segnalata dall’assistente dell’arbitro - .
Tentò di farmi apprezzare meglio l’ultimo goccio rimasto di crema di whisky.
Abbozzai un sorriso, ma nel suo pensiero vidi quello che lessi anche negli occhi di Lester e quello che, in fondo, era anche la mia opinione.
Quell’uomo grigio non aveva trovato pane per i suoi denti presso il “Job’s Bar”, ma sarebbe andato altrove, in un altro locale e, forse, avrebbe trovato terreno fertile per seminare la sua dottrina, colpevole di essere assassina di quell’ultimo straccio di umanità che ci rimane.
Ma la mia paura più grande è che un giorno, a forza di picconate, a forza di perdere quello in cui crediamo, a isolarci, con il rischio di instaurare una sorta di “regime autocratico personale”, a forza di diventare sempre più cupi, forse tutti smetteremo i nostri panni, per indossare, anche noi, quel completo giacca e cravatta, da sartoria, color sabbia inquinata.

-E@-

martedì, novembre 21, 2006

Job's Bar 4 (prima parte)

È piuttosto subdolo essere uomini grigi. Alcuni sono facilmente riconoscibili: indossano un completo giacca e cravatta da sartoria color sabbia inquinata, fumano sigarette della premiata marca “Ciminiera”, hanno perennemente il telefonino (dal valore minimo corrispondente a un rene umano) pronto scattante alla risposta e guidano un auto di cilindrata extraterrestre che occupa due carreggiate o più. I capelli sono abilmente plasmati con una malta cementizia risultato di una mistura di gel, schiuma, silicone e polistirolo (per creare il caratteristico effetto forfora). La loro acconciatura può variare dall’”Humphrey Bogart” (un taglio molto classico, il soggetto sembra uscito da in film degli anni ’40), al “Magnum a capodanno” (un taglio molto dinamico, sembra che al soggetto sia esploso un petardo in testa).
Non necessariamente, però, un uomo grigio risponde a questo profilo estetico. Egli è facilmente riconoscibile dalla sua “forma mentis”. Come?
Una volta, nel “Job’s Bar” entrò un tale sulla quarantina. Al bar c’eravamo io, Lester e Mancinelli, luminare di “Gazzettologia dello Sport”.
Nonostante l’assenza dell’uniforme tipica da uomo grigio (infatti, indossava un maglioncino rosé e dei calzoni amaranto), lo riconobbi subito dall’olezzo che emanava: profumo di pietra che fuoriusciva dalla sua anima putrefatta.
Si piazzò di fianco a me (e alla mia crema di whisky).
Ordinò un espresso.
Poi, spiegò davanti a sé il quotidiano che teneva sottobraccio.
- Ah! – esclamò leggendo una notizia - Questi immigrati, con le loro usanze, con la loro religione della minchia, che vengono qui da noi a rompere i coglioni. Mah… - .
Io e Lester facemmo finta di nulla.
- Ma guarda questi ragazzi d’oggi! Se non si stuprano tra loro, sono sempre lì a drogarsi – sbottò.
Sfogliò pigramente il giornale, attingendo caffé, dalla tazzina, con sorsi da uccellino appena nato.
- Le tasse decollano. Fortuna che ho un fondo alle Isole Vergini Britanniche – sibilò, lanciandomi un’occhiata, come a cercare la mia approvazione.
Io mi limitai ad apprezzare il mio bicchiere di Porto.
Poi, presi la parola.
- Lei crede che si possa risolvere tutto con un egoistico colpo di spugna, o, ancora meglio, con un colpo di pistola. Per lei è molto più facile urlare che ascoltare.-
L’uomo grigio rispose con la sua carta migliore, cioè con lo sguardo totalmente indifferente.
- Ma a lei cosa importa – continuai – a lei interessa solo il suo bel telefonino d’ultima generazione, a lei interessa la sua quattroruote appesta strade, a lei interessa solo tenere ben imbottito il suo portafogli, a lei interessa rispettare solo chi le dà lo stipendio, oppure no, fa solo finta, e aspetta solo l’occasione giusta per coglierlo in fallo e prendere il suo posto nella grande gerarchia dei poteri. A lei, insomma, viene proprio spontaneo odiare, sembra quasi avere una predisposizione naturale -.
Mi squadrò, dall’alto verso il basso, con i suoi occhi color carbonio, celandosi sempre dietro questo impenetrabile velo di indifferenza.
Accumulò l’aria nei polmoni e, pacatamente replicò:
- Quante belle parole. Perché questo mondo è tutto mieloso e zuccherato. Balle! Se non sei assassino, sei vittima. Devi essere cattivo, spietato, disposto a tutto. Fregatene dei tuoi amici, perché un giorno potrebbero fregarti. Il diverso è da disprezzare perché un giorno, se ti farai mettere i piedi in testa, lo potresti essere anche tu; non resta che emarginare per non essere emarginati. –
Fece una pausa.
Sorseggiò ancora dalla sua tazzina.
Era calmissimo.

- Continua... -

=E@=

sabato, novembre 18, 2006

Job's Bar 3 (terza e ultima parte)

Dopo un breve lavoro di preparazione, tutto era pronto per lo show.
Buffalo prese in mano il microfono e, con una voce un po’ alla Joe Cocker e un po’ alla Tom Waits, salutò il pubblico e disse: - Da noi non avrete roba da discotecari. Da noi non avrete lustrini e paillettes, da noi non avrete la solita musichetta orecchiabile senza attributi, da noi non avrete tutta quella filosofia politicamente corretta, da noi non avrete tutte queste cazzate.-
Tutto ciò fu salutato dall’entusiasmo totale dei presenti. I calici di martini cincinnarono, i boccali colmi di birra si baciarono e fecero da preludio alla prima canzone: “Pendolare Blues”.
Solitamente una canzone racconta una storia. Invece, questa ne raccontava tante in un intrecciarsi continuo, in un romanzo di musica coinvolgente e appassionante.
È la storia delle lacrime di disperazione del trentanovenne che perde il treno per la svolta definitiva, sussurrata dalle note umanamente impossibili di Andy Paradise (e anche dei suoi magici capelli) e dalla grinta del sax delle sorelle.
È la storia del regionale che arriva perennemente in ritardo a causa della sua eterna vecchiaia, narrata dal giro di batteria di Masters.
È la storia del lamento dello studente perché il suo locale è stato soppresso causa blocco di manifestanti, spiegata dal basso sincero di Bergolds.
È la storia del riccone che al telefono dichiara fedeltà imperitura alla moglie, tenendo sottobraccio un’avvenente ballerina slovacca; vicenda bisbigliata dalla tromba irriverente di Barros.
Dopo le chitarre, unitesi in un amplesso malinconico e ladro di anime, giunge la conclusione di Buffalo:
“Verrò da te mio grandissimo amore
Me ne sto qui attanagliato dal dolore
Per tre ore mi tocca aspettare
Oh ma tu cosa ci vuoi fare
Questo è il blues del pendolare” .

I presenti tributarono un interminabile standing ovation al gruppo che continuò a suonare per tutta la notte, a narrare, a commuovere, a fare ridere, a dare una pacca sulla spalla e a non farti sentire solo.
Lester era soddisfatto: mi disse che i Blues men of God sarebbero stati ospiti fissi del “Job’s Bar” per i mesi a venire.

Quella notte, qualcuno fece l’amore.
Io, invece, finii il mio terzo irish coffee e tornai a casa più rinfrancato del solito.

-E@-

giovedì, novembre 16, 2006

Job's Bar 3 (seconda parte)

Alle 21.57 ero appena al mio secondo “Irish Coffee”.
Sentii un rumore di motori sferraglianti provenire fuori dal bar.
Lester uscì a controllare.
- Sono loro! – Disse.
Erano arrivati su tre Volvo, station wagon, non molto recenti, nere come la pece.
Entrarono nel bar con tutta la strumentazione.
Tutti in rigoroso completo giacca e cravatta, anch’essa nera: parevano proprio una squadra di onoranze funebri.
Lester rientrò che stava confabulando con un gorillone assurdamente grande e grosso. Riconobbi la voce roca che mi aveva risposto al telefono.
Nel frattempo, il resto del gruppo stava portando dentro tutto il “necessaire” per lo spettacolo.
- Ma quanti sono questi qua!? – Esclamò Mingozzi, muratore. Era abituato a portarsi il lavoro al “Job’s Bar”: infatti, si era costruito un monolocale di un metro quadro nei pressi del bancone.
Infatti, era una truppa numerosa. Successivamente venni a saperne di più sul loro conto.
Il gorillone, che stava stringendo la mano di Lester con grande soddisfazione di entrambi (forse per l’accordo raggiunto), era Steve Buffalo, il frontman del gruppo. “La bestia di Tabyn City”, così era soprannominato, era in grado di mangiare contemporaneamente tre fagiani reali e di svuotare un fustino da venticinque litri di birra.
- Quello che non uccide rende più forti – era solito dire. Infatti, fumava direttamente il catrame dell’asfalto appena posato e fresco di cantiere.
Quello magro, con il riporto sexy, che copriva una stempiatura che arrivava fino alla nuca, era Franky Bonanza, prima chitarra.
Le donne gli cadevano i piedi perché i suoi assoli, virtuosi ed extraterrestri, facevano perdere i sensi alla maggioranza del pubblico femminile.
Scorta fedele di Franky era Luke Skyscraper, seconda chitarra. Bonanza non si avventurava mai in arpeggi impervi e infestati senza essere scortato dal suo fedele compagno, nonché suo primo confidente di tresche amorose.
Alto, dal sorriso beffardo e, talvolta, assassino, era il bassista Albert Bergolds, detto anche Alby. Il suono della sua bass guitar era incredibile: poteva sembrare sornione, pigro, come un gatto sazio del suo pasto. Ma un istante dopo, eccolo guizzante, veloce e con l’agilità di una pantera.
Stava portando sul palco un valigione stretto ma lunghissimo. Era Andy Paradise, tastierista, sguardo demoniaco e capelli angelici, lunghi, anzi, lunghissimi. La leggenda vuole che anch’essi partecipino alla performance del loro proprietario, aiutandolo nel beccare le note più impossibili.
Responsabile della batteria era Anders Masters, danese di Aalborg. È solito, infatti, intrattenere i suoi compari con i racconti della sua terra, come quello del vichingo Romuald, che, da solo, vinse i cento Berserker de “La Palude Silenziosa”.
Ai fiati c’erano il palestrato Toby Barros, trombettista canadese originario di Manaus, e le sorelle del sassofono Mickey Mushroom e July Zakowsky.
Giravava voce che Barutz fosse riuscito a ribaltare un trattore, non con la forza delle sue braccia, bensì con la potenza del suono della sua tromba.
Invece, avevo saputo che le sassofoniste avevano placato, con la loro musica, gli animi irosi dei pirati del “Mar del satanasso”, facendo anche piangere, come ragazzine, quelli più duri e aridi di cuore.
Nascosto dentro un borsone beige della “M’infischia”, se ne stava appisolato il tecnico del suono, Gatto.

Dopo un breve lavoro di preparazione, tutto era pronto per lo show.

--- Continua nella terza e ultima parte... ---

=E@=

martedì, novembre 14, 2006

Job's Bar 3 (prima parte)

Il “Job’s Bar” ha avuto una reputazione musicale di un certo livello: molto basso.
Infatti, su quell’improbabile pedana fungente da palco, erano soliti esibirsi compagini musicali alquanto svariate.
Una volta, mi ricordo, si esibì un terzetto acustico siculo: scaccia pensieri, seconda e prima voce. Mettevano in folk un esperienza che spaziava dalle filastrocche di Aci Trezza alle hit più gettonate di Palermo e Catania, con tutto il rispetto per le città citate, di grazia, ci mancherebbe altro. Purtroppo, dalle nostre parti, il siciliano stretto non era molto capito e il tutto si risolse con un risultato non proprio soddisfacente: vuoto totale nel locale. Solo io ero presente, con il mio “Negroni” in mano, seduto sul mio comodo sgabello in vera finta pelle di Minotauro.
I suonatori misero in scena, comunque, lo show, compreso un paio di bis.
Una sera d’autunno, invece, presenziarono i “Lambrusco, pistole, coltelli, rose e popcorn”: erano una band che mescolava la musica dei “Guns & Roses” con i testi di “Ligabue”, suonando il tutto con ocarina, legnetti, zufolo, triangolo, bicicletta arrugginita, palloncino sgonfio, steli d’erba, contenitori di plastica, bottiglie infrante e molti altri strumenti. Di fatto, era un orchestra poiché contava, all’incirca, diciassette elementi. Il tutto fu apprezzato, dai pochi convenuti, per l’originalità, non tanto per la qualità dell’espressione.
Lester si impegnava duramente per trovare un gruppo decente, ce la metteva tutta, ma una sfiga colossale (o un’assoluta imperizia nel campo musicale) sembrava perseguirlo.
Allora venne lì da me, con fare sconsolato.
Mi porse le pagine gialle e mi disse: - Guarda, fa te. Scegli a caso i prossimi disgraziati che verranno a stuprare i timpani dei miei alcolizzati, nonché fonte di reddito - .
Aprì il mattone libresco ad una pagina qualsiasi e puntai il dito sulla pagina.
Il mio indice finì su di un quadratino piccolissimo dove era scritto:
“Blues Men of God. For a good Blues experience”.
Il nome prometteva bene.
Lester, che ormai si stava preparando all’ennesimo flop, mi fece telefonare al recapito.
- Pronto?- rispose la voce dall’altro capo del filo, scolpita da non so quante tonnellate di sigarette, e, forse, forgiata anche un po’ dall’alcool.
- Buongiorno. Chiamo per conto del “Job’s bar”. Volevo sapere se sareste interessati a fare uno show presso il nostro locale. – chiesi con aria pacata.
Sentii un certo confabulare in sottofondo.
- Accettiamo l’offerta. Saremo lì stasera alle 22 – disse con aria sicura.
- Benissimo. Vi do l’indirizzo del bar…- ma il misterioso interlocutore mi interruppe.
- Sappiamo già dove andare. Per quanto riguarda il compenso, parlerò io direttamente con il proprietario –
- Un momento; come fa a sapere che non sono il…-
Non feci in tempo a finire la frase che “la voce” aveva già riattaccato.

_continua_

===E@===

sabato, novembre 11, 2006

Job's Bar 2 (seconda parte)

Un sistema di valori che non poteva essere condiviso, per nessuna ragione, dagli avventori del “Job’s Bar”. Ragion per cui il tifo andasse tutto a favore dell’altro finalista. Dalla “Coop Muratori” e dalla Tunisia, Katib. Il suo abbigliamento non era certo ricercato come quello del suo avversario. La cosa più preziosa che indossava erano i suoi calzari acquistati presso una bancarella di Cinesi in piazzetta. Girava voce che avesse moglie, due figli e che mandasse buona parte del suo stipendio in patria a sua madre. Un tipo, insomma, che lavorava sodo, non badando certo a fronzoli e amenità barocche. Ciò rispecchiava anche il suo stile di gioco.
L’evento fu raccontato via radio, sulla dodicesima emittente nazionale. Ovviamente, a Pistoloni fu assegnata la cronaca.
De Nardo iniziò bene il match, portandosi subito in vantaggio con 7 palle a 1. Katib era in evidente difficoltà. Il tracollo sembrava a tutti imminente.
Pistoloni, con cuffie da koala e microfono modello “Marconi 1935” decretava con tono pigro: - Questa partita, ormai, non ha più nulla da dire. La vittoria sarà una semplice formalità per il De Nardo contro questo sciagurato del nord Africa – .
Il pubblico accolse male questa affermazione. Iniziò, infatti, a rumoreggiare e a incoraggiare Katib, con cori, trombe, striscioni e bandiere. Il “Job’s Bar” era diventato una bolgia infernale.
Il muratore, allora, impugnò la stecca con maschia decisione e infilò una rimonta memorabile. Testimoni oculari raccontano ancora di come il boccino prendesse a sculacciate le palle pur di farle entrare in buca.
Rimaneva soltanto la famigerata palla 8.
È il turno di Katib, che battezza la vedova nera in buca d’angolo. Il colpo è determinato e sicuro.
Ma non preciso. Dopo una sponda, la palla finì nelle vicinanze della buca centrale e nei suoi pressi il boccino.
Il ragazzo affilò il sorriso smagliante, si mise in ordine i capelli copiosamente ingellati e si avvicinò con sicurezza al tavolo per concludere vittoriosamente l’incontro.
Pistoloni sentenziava, sotto un costante bombardamento di noccioline : - Finalmente questa partitina terminerà e la vittoria finale andrà al giovane e promettente De Nardo -
Ma ecco che si realizza l’eccesso di superbia.
La bianca colpisce la 8.
La 8 incozza sullo spigolo della sponda.
La bianca la segue a ruota.
Entrambe terminano la loro corsa infrangendosi sul cranio del Pistoloni.
Il risultato fu duplice: commozione cerebrale per lo speaker mentecatto e partita vinta da Katib.
“Job’s Bar” in tripudio.
Il muratore fu sollevato dalla folla festante e fu portato da Lester per la consegna dell’ambito premio: un buono di 250 € spendibili presso il locale centro commerciale “Ciambellone” e un bottiglione di prosecco.
Finii il mio “Spritz” e ne ordinai subito un secondo. Lo dedicai a Katib perché aveva dato un pizzico in più di speranza a tutti.
Forse, anche a me.

===E@===

11 Novembre. Auguri Andrea!

Oggi è l'undici Novembre, San Martino.
Ma è anche il compleanno del mio piccolo grande fratello, Andrea, che compie la bellezza di nove anni.

Auguri Andre...

Sempre in forma!

===E@===

Job's Bar 2 (prima parte)

Il “Job’s Bar” ha una ricorrenza semestrale molto importante: il prestigioso torneo di stecca. Dai luoghi più remoti della provincia, giungono i migliori giocatori di questa disciplina.
Dalla frazione di Colnago viene Cantuzzi, signore della tecnica e noto, soprattutto, per il suo colpo segreto “il tir della bertuccia”, un colpo liftato con effetto rientrante a uscire che ipnotizza la palla e la persuade a entrare in buca senza colpirla, anzi, passandole ad almeno mezzo metro di distanza.
Dal borgo di Sorate giunge il prode Veroni, il più famoso, poiché intervistato dalla settima rete nazionale per il programma televisivo “Sport Minori”. Essendo molto conosciuto, la sua “divisa” era coperta di sponsor: il risultato era tra uno sbandieratore senese e un ballerino di samba al carnevale di Rio. Al termine di ogni partita ringraziava sempre la “Drogheria Balestrazzi” per la fiducia affidatagli.
Da Menziano sul Panaro accorreva, a dorso di mulo, l’anziano Gioberti. La sua età era sconosciuta ai più. Alcuni affermano che abbia partecipato al plebiscito sull’unità nazionale, altri alle 5 giornate di Milano. Sta di fatto che la sua pluri-trentennale esperienza al biliardo gli ha fruttato non poche vittorie.
Il giocatore più rappresentativo di Bietolone era Leonardi. Ex-buttafuori di balera, era alto due metri e quindici per centoventisette chili. A differenza di Cantuzzi, privilegia la potenza e la violenza gratuita erogata dal colpo. Arcinote erano le sue “spaccate assassine”. Non tanto perché mandava in buca una quantità assurda di palle, ma, più che altro, perché il boccino usciva dal tavolo e finiva per colpire qualcuno del pubblico, mandandolo, inevitabilmente, all’ospedale “Santa Margherita Fiorita”. Le vittime sfortunate sentivano tutte dirsi la stessa diagnosi: “Lei è stato colpito da un terra-aria Leonardi. Nei prossimi giorni le succederà qualcosa di piacevole”. Infatti, succedeva spesso che ai “caduti del biliardo” accadesse qualcosa di fortunato come un terno al Lotto, un gratta e vinci non perdente, 50 € sul selciato, una promozione sul posto di lavoro, una serata più calda del solito in piacevole compagnia e cose di questo tipo. Per questo a seguire gli incontri del “cannone di Bietolone“ c’era sempre una folla nutrita.
Oltre a queste quattro star, c’erano altri giocatori, più o meno conosciuti, più o meno bravi, più o meno scarsi, con più o meno culo a giocare a stecca.
Per risolvere ovvi problemi organizzativi, Lester aveva noleggiato altri tavoli per consentire uno svolgimento del torneo più fluido.
Dal mio confortevole sgabello ero in grado di seguire tutte le partite in corso, sorseggiando uno “Spritz” garbato, ma convinto.
Il torneo iniziò con partite più o meno combattute: capitava, infatti, che giocatori deboli incontrassero avversari fuori portata, con risultati molto imbarazzanti.
Dopo le fasi eliminatorie, la competizione entrò nel vivo. Così, si presentò, a commentare le gesta del panno verde, il giornalista Pistoloni, la penna sportiva più volgare del nord. Ce l’aveva con chiunque, di qualunque ceto sociale, professione, gruppo etnico, meridionale, centrale, settentrionale, tirolese e svizzero che fosse.Solitamente, iniziava sempre il suo articolo, sull’evento seguito, con un breve resoconto meteorologico: “L’incontro prende il via sotto gli auspici di una tenue pioggia primaverile, accompagnata, però, da un freddo dispettoso”, tenendo presente che il biliardo è una disciplina che viene giocata al chiuso e non di certo in mezzo a un campo di grano turco.
Dopo diversi colpi di scena, come l’abbandono di Cantuzzi causa moglie partoriente e il ritiro di Veroni per problemi fisici (cagotto), in finale si presentarono due outsider.
Dalla Metropoli, la città sbrilluccicosa e sparaflesciante, a suon di musica “Tunz-tunz” si era presentato De Nardo, rampollo di ricca famiglia, uno sbarbatello con neanche un accenno di barba. Il suo giaccone, tra il confetto e il pastiglia di Viagra, era accompagnato da un paio di Jeans con vita all’altezza delle ginocchia, in modo tale da rendere leggibile la scritta che aveva sulla parte posteriore delle mutande, le quali erano targate da una multinazionale famosa senza scrupoli. La dicitura recitava: “Non invidiarmi solo perché sono molto più figo di te. Ma anche perché ho molta più fig* di te”. La sua professione era ignota. Girava voce che il suo hobby fosse fare il PR al “Morbillo”, noto locale dove si ancheggiava a ritmo di musica, ovviamente, “Tunz tunz”.

--- Continua... ---

===E@===

giovedì, novembre 09, 2006

Job's Bar.

Sulla strada che porta in centro, immerso nell’ombra della tenebra, tra un tiglio spelacchiato e un lampione che non fa il suo dovere, c’è il “Job’s Bar”.
È un locale interessante. È abbastanza grande, ma non è così esteso da potere racchiudere 7 acri. Le pareti sono di un giallo sporco molto caratteristico e il profumo dell’aria è caldo e legnoso.
Appena entrati, sulla sinistra, appeso al muro c’è un pannello con su disegnato Gesù che suona contemporaneamente tre chitarre in fiamme. Alla sua destra, è incorniciata una camicia a quadri autografata da Chuck Norris. La parete opposta, invece, era costellato da vari gadgets, tutti custoditi in una teca curatissima: c’era un cappello di John Belushi, un’armonica a bocca di Paolo Conte, una foto commemorativa di Warren Zevon, un pallone di cuoio calciato da Ermete Scarpazzi (gloria del calcio locale, livello 3^ Categoria), un boccale-cisterna da 20 litri dell’Oktoberfest (con accanto una targhetta che, fieramente, riportava “Reduci vittoriosi”) e oggettistica varia come:
• una sciarpa del “Yeovil Town”, 3^ serie inglese;
• “In a gadda da vida”, album in vinile degli “Iron Butterfly” del 1968;
• una zolla di campo dello “Stadio Comunale” presa in occasione della promozione in serie B;
• una foto di una donna avvenente poco vestita;
• una biella di una “Ferrari 275 GTB”;
• mezza corda del basso di Jaco Pastorius;
• un plettro di Ritchie Blackmore;
• una scheggia di bacchetta di Dave Grohl.

Come ogni bar che si rispetti, non può mancare il biliardo. Il panno verde è popolato da cunette, avvallamenti, trappole, rampe, trabocchetti e tagliole a misura di palla e stecca. I 5 birilli si difendono asserragliati su una inespugnabile garitta. Con tutti questi ammennicoli, il gioco è molto più interessante e capita spesso che le partite durino anche settimane.
Al bancone vi è l’intramontabile gestore: Lester. Magro come un rinoceronte, le sue ciglia sono folte e crespe come uno spazzettone e il suo cranio è così glabro e liscio che sembra fresco di levigatrice. All’inaugurazione, chiamò così il locale perché è un accanito lettore del Vecchio Testamento, soprattutto della “Genesi” (“Job” sta per Giobbe). Purtroppo, in pochi colgono la finezza culturale-religiosa (nessuno, a dire il vero) e finisce che il suo locale venga ricordato come il “Bar del lavoro” (visto che, in Inglese, Job sta anche per “lavoro”). Infatti, capita sovente che racconti, per mezz’ore intere, questo bisticcio linguistico al cliente occasionale, il quale, disgraziatamente, chiede il perché del nome del bar. Così, un semplice caffé, si trasforma in una catechesi di storia biblica in pompa magna, con buona pace dell’ignaro avventore.
Dalla parte opposta al bancone, il regno di Lester, vi è una sorta di pedana sopraelevata. È il palco sopra il quale si esibiscono suonatori, musicanti, musici e violentatori di strumenti musicali in genere. Sulla quinta è appeso, con puntine da disegno super-perforanti, un cartellone pubblicitario della “Champions League” (prelevato, indebitamente, in un Basilea – CSKA Sofia finito 2 a 1 per i padroni di casa) raffigurante il logo di una nota marca di birra.
Al centro del locale vi erano tavoli, tavolini, sedie e cuccioli di sgabelli. Alcuni erano nuovi, intatti e freschi di Ikea, altri erano più vissuti ed erano segnati dalla peggior forma di “Toilette humour”, alla miglior opera di intaglio e falegnameria artistica. Su una seggiola era stato scolpito il primo piano del presidente degli Stati Uniti d’America con accanto una scritta piuttosto eloquente: “ Per una volta ti bacerà il sedere”.
Gli sgabelli che stanno presso il bancone sono circondati da una sorta di aura di sacralità; sono tabù per il coltellino svizzero, intoccabili per il cutter, invalicabili da qualsiasi tipo di lama.
Sul terzo, da destra ce n’è uno in vera pelle di Minotauro Cinese. Su quello sgabello è seduta una figura bardata da un caldo giaccone, con un flute da mezzo litro di weisse in mano.
Quello sono io.

Spettacolare San Donnino!

Importante prova di supremazia del San Donnino che ha conquistato i tre punti ai danni del "Bar Ballentine", i campioni in carica del torneo di 3^ serie. La squadra dei giovani universitari ha vinto 7 a 4 esprimendo un ottimo livello di gioco. Assente Parenti, è protagonista "l'altro" Fabio, Panini, che si dimostra quanto mai pericoloso in fase offensiva, segnando ben 2 gol e colpendo una traversa clamorosa. Il "Bar Ballentine" è una squadra esperta e ben messa in campo che sa farsi rispettare, sia sul piano agonistico, sia sul piano tecnico. Le marcature messe a segno sono state frutto di "concessioni" della difesa ex-wiligelmina: Casagrande si fa trovare scoperto sul primo palo e viene punito da un tiro, quanto mai, "ignorante"; due gol sono stati causati da errati disimpegni, mentre il terzo è stato realizzato su calcio di rigore, con relativo fallo, forse, evitabile.
L'allenatore, Marco Panini, in conferenza stampa ha dichiarato: - Questa è senza dubbio una vittoria importante contro un avversario di livello. Ma dobbiamo stare con i piedi per terra e pensare alla prossima partita - .

Pagellone

Casagrande - Ha un gol sulla coscienza. Però non deve preoccuparsi poiché ha giocato partite ben peggiori. Dimostra, comunque, sicurezza e consapevolezza dei propri mezzi. Voto 6,5

Miles - Crea numerosi grattacapi alla punta avversaria che vede la porta con il binocolo. Inoltre, si inventa un gol incredibile da tramandare ai posteri: umilia i difensori avversari con uno slalom degno del miglior Alberto Tomba e fulmina il portiere avversario da breve distanza. E' il solito invalicabile Miles. Voto 8

Panini - Migliora, in maniera esponenziale, di partita in partita. Difende, imposta, dribbla, conclude e segna. Dimostra, a pieno titolo, di meritarsi la fascia di capitano. Probabilmente, è stato il migliore in campo. Voto 8,5

Bonini - La macchia, di avere fornito l'assist per il primo gol agli avversari, non pesa più di tanto su una prestazione brillante, a tratti abbagliante. Si beve gli avversari come bicchieri di Fernet e segna gol belli e importanti. Secondo, però, solo a Panini. Voto 8+

Cantelli - Riscatta, con il gol, un erroraccio a centrocampo che è costato il terzo gol avversario alla difesa del San Donnino B. Deve ancora trovare la condizione migliore: la tubercolosi e la tosse convulsa lo penalizzano non poco. Da recuperare.
Voto 6+

Soncini - Gettato nella mischia a pochi minuti dalla fine, porta della legna molto preziosa in mezzo al campo. Voto 6,5

Feffo, Nico & Giacomo : giocano una partita di ottimo livello. la loro esperienza è preziosissima e si fa sentire. Voto 7/8

Parenti - Infortunato, si presenta ad assistere alla partita in compagnia della sua nuova fiamma: l'avvenente Federico Tesei, studente di iconoclastia azteca. voto 9 per la presenza, voto 4 per il partner.

Il campo di gioco - Più che un campo da calcio a 5, sembra un tappeto di carta vetrata: ne sanno qualcosa le ginocchia delicate di Bonini, che hanno riportato una copiosa escoriazione. Tempo di recupero 3 mesi. Voto 5

Post-partita - cosa c'è di meglio di un panino e di un bel birrozzo? Solo il calore umano offerto da una dolce donzella... Vabbeh, lasciamo perdere che è meglio... Voto 9 (per la weisse media)

=== E@ ===

lunedì, novembre 06, 2006

Big-House Tavern in Rock.

Poteva essere un'altra sordida notte di regime.
Invece la musica ha fatto il suo corso e, con la collaborazione di una luna alquanto assassina, il terzetto acustico magretese ha dato vita a un live davvero notevole. Il trio formato da Francesco Bonini (chitarra), Stefano Buffagni (voce) e Alberto Frigieri (basso) ha fornito una performance memorabile presso la "Big-House Tavern" del cirrotico Gabbro, che ha provveduto a dissetare gli avventori del locale con litri di ottima birra, buona vodka, superbo prosecco e audace Martini.
La scaletta dei musicanti magretesi racchiudeva il meglio del rock: Red Hot Chili Peppers, Eagles, passando per i Blues Brothers e altri gruppi che hanno fatto la storia del genere.
Il responso da parte del pubblico è stato molto positivo e la speranza comune è quella di potere ripetere l'esperienza.

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domenica, novembre 05, 2006

The Battle of Evermore

Queen of Light took her bow, And then she turned to go,
The Prince of Peace embraced the gloom, And walked the night alone.

Oh, dance in the dark of night, Sing to the morning light.
The dark Lord rides in force tonight, And time will tell us all.

Oh, throw down your plow and hoe, Rest not to lock your homes.

Side by side we wait the might of the darkest of them all.

I hear the horses' thunder down in the valley blow,
I'm waiting for the angels of Avalon, waiting for the eastern glow.

The apples of the valley hold, The seeds of happiness,
The ground is rich from tender care, Repay, do not forget, no, no.
Dance in the dark of night, sing to the morning light.

The apples turn to brown and black, The tyrant's face is red.

Oh oh now, war is the common cry, Pick up you swords and fly.
The sky is filled with good and bad that mortals never know. Oh now, oh

Oh, well, the night is long the beads of time pass slow,
Tired eyes on the sunrise, waiting for the eastern glow.

The pain of war cannot exceed the woe of aftermath,
The drums will shake the castle wall, the ring wraiths ride in black, Ride on.

Sing as you raise your bow, ride on, shoot straighter than before.
No comfort has the fire at night that lights the face so cold.

Oh dance in the dark of night, Sing to the morning light.
The magic runes are writ in gold to bring the balance back. Bring it back.

At last the sun is shining, The clouds of blue roll by,
With flames from the dragon of darkness, the sunlight blinds his eyes.

Bring it back, bring it back, bring it back, bring it back.
Bring it back, bring it back, bring it back, bring it back.
Oh now oh now oh now oh.
Oh now oh now oh now.
Bring it back, bring it back, bring it back, bring it back.
Oh now oh now oh now oh.

giovedì, novembre 02, 2006

Intervista ad Andrea Paradisi. 2^ Parte

25. Batmen Blues. Quali prospettive per il tuo gruppo?

Ci siamo accordati di recente per un tour mondiale che comprenderà
tutta l'Europa, il Giappone, il Sud America e il Canada. Per adesso ci
accontentiamo della sagre di paese.

26. Cosa ci puoi dire riguardo alla rivalità con gli Sharp Dressed Men?

Ma quale rivalità! Solo perchè siamo migliori di loro non vuol dire
che siamo rivali.

27. Qual è la canzone che porti nel cuore?

Non ho una canzone in particolare. Mi piace un po' tutta la musica.
L'importante che non sia musica maranza.

28. Cosa non manca mai tra i tuoi cd/mp3

Canzoni malinconiche per giorni tristi, canzoni cariche per le
giornate allegre e una vasta gamma di canzoni psicopatiche per le giornate
normali.

29. Se non fossi tastierista, quale strumento ti piacerebbe sonare?

Ma non saprei. Così su due piedi direi il pianoforte, anche se la
pianola mi attira molto.

30. Cosa hai provato quando ti sei tagliato i capelli?

Tristezza, amarezza, solitudine perchè mi sono reso conto di aver
perso qualcosa di mio che non potrà più tornare. Mai.

31. Sei mai stato tradito/deluso da un amico?

No, altrimenti il suo nome sarebbe su un necrologio.

32. Nel tuo futuro, cosa non mancherà mai?

La tastiera, la figa(spero), un bicchiere di rum, un sigaro di marca
e l'affetto dei miei cari. Probabilmente anche i Simpson e Chuck
Norris. Anzi sicuramente.

33. Quale elettrodomestico ti sarebbe piaciuto inventare?

Penso la radio, perchè stimola la comunicazione e il confronto.

34. Qual è il tuo fumetto preferito?

Senza dubbio Topolino.

35. Cosa ricordi del tuo primo amore?

Lo schiaffo.

36. Come ti vedi tra 10 anni? Fra 20?

Bella domanda. La mia risposta te la darò tra 10 e 20 anni quando ci
siederemo in un bar a sorseggiare superalcolici alle 3 P.M. ( finiti i
Simpson) e a riparlare di questi tempi.

37. La cavolata più clamorosa che tu abbia mai sparato.

“Sono una persona intelligente". Subito dopo arrossii e corsi via.

38. Tra le faccende domestiche qual è quella che odi di più?

Io non faccio le faccende domestiche. Ho assunto una svedese alta
1.80, bionda e con una quarta di reggiseno per farle al posto mio. Che
tra l'altro, la pago in natura.

39. Qual è il tuo pasto ideale?

Una pizza, possibilmente consumata con gli amici per ricordare il
passato e progettare il futuro.

40. L’ultimo libro che hai letto.

"Eldest" di Christopher Paolini.

41. Il tuo primo cd.

"Brave New World" degli Iron Maiden, regalo dello zio per i miei 13
anni. Troppo avanti lo zio Gigi!

42. Hai a disposizione 5 ragazze diverse (possibilmente non famose, di Magreta, Formigine, Modena, a tua scelta) per fare 5 cose diverse (una per ogni attività) Giocare a basket; Giocare a briscola; Andare alla festa dell’unità; Andare a cena nel migliore ristorante della città; Suonare la chitarra.

Anche se ti dicessi i nomi, non le conosci e quindi non riusciresti
a capire il vero motivo della mia scelta.


43. La giocata migliore che ti sia mai riuscita a calcetto.

Un gol in semi-rovesciata volante L'11 luglio 1982 contro la
Germania, ingiustamente annullato.

44. Raccontaci un episodio nel quale tu sei stato il massimo della crudeltà.

Quando mi sono tagliato la lunga coda ho portato per più di 4 anni.

45. Cosa pensi di Davide Cantelli?

Assolutamente una brava persona, un ragazzo educato e con seri
principi ben integrato con gli altri e con una buona posizione
nell'alta-medio-bassa società.

46. Il miglior pregio e il peggior difetto di Andrea Paradisi.

Difetti? Quali difetti? Sono il migliore e nessuno può tenermi
testa: sono il più bello, sono il più intelligente, sono il più simpatico e
il più stimato essere nei dintorni di Magreta. Io non ho difetti! Per
quello che riguarda il pregio, sono sicuro al 99.9% (dopotutto c'è
sempre un lieve margine di errore) che sia l'umiltà.

47. Come si chiameranno i tuoi 7 figli?

Ho intenzione di chiamare i miei 7 figli come i sette nani e le mie
7 figlie come i sette peccati capitali.

48. Che voto dai a:
la tua bellezza
la tua intelligenza
la tua umiltà
questa intervista.

50-Bellezza: forse a 2.5 ci arrivo
Intelligenza: valgono anche i numeri negativi?
Umiltà: almeno 3=
Intervista: chiaramente 10!

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